Manuela Trinci, Dialogo sulla morte. Con i bimbi
«l’Unità», 8 novembre 2010
«Niente si chiama Niente» – riflette fra sé la piccola Lilà – «Vive con me, intorno a me». Così si avvia una storia delicata e poetica che racconta di una bambina che ha perso la mamma e che forse per dare nome e sollievo al dolore, al vuoto, alla solitudine, al niente… che la circondano, si è inventata Niente, un amico immaginario. Un Niente sempre di buon umore, fattivo e appassionato – proprio come appassionata era la mamma – di papaveri blu e di pettazzurri: gli uccellini che cantano come usignuoli.
Nuova metafora di una vita che riprende senso proprio dalla ferita, rimarginata eppure visibile, della perdita, l’album illustrato di Kitty Crowther (Io e Niente, Almayer Edizioni) rimanda gli adulti all’irrisolto e annoso quesito di come parlare della morte con i bambini.
Infatti, sebbene eludere il pensiero della morte impoverisca la vita stessa e la ingabbi nella rete della finta allegria, c’è insita nel nostro contesto culturale la tendenza a scartarne il pensiero. Immersi in una società di adulti abituata a reagire con una pillola tranquillante o con un incremento di attività distraenti non appena si affaccia un sentimento penoso, la mitizzazione della bambinità protratta e caramellosa appare una logica conseguenza che rischia però di sacrificare, piuttosto che di salvaguardare, l’identità dei bambini stessi. Perché i bambini lo sanno che c’è la morte, lo sanno dalle fiabe classiche, da Biancaneve a Cenerentola orfane come Bambi e il Re Leone nelle interpretazioni disneyane. Ma non solo: negli ultimi anni, molti libri, provando a superare lo spaesamento di genitori e insegnanti, hanno cercato di avvicinare il bambino alla comprensione della morte. Da Mattia e il nonno di Piumini a Una mamma come il vento di Bertron, da La nonna in cielo di Lavatelli al Giardino di Maag fino a Il nonno non è vecchio di Ziliotto, i libri per bambini e ragazzini, oltre a far toccare con mano lo strazio del lutto dei piccoli protagonisti, hanno messo in luce come ad amplificare il dolore sia anche il silenzio arroccato dei grandi.
Non casualmente, da tempo, si è attivata una stretta collaborazione fra la Fondazione Floriani e la Divisione di Psicologia dell´Istituto Nazionale Tumori di Milano che ha visto nascere un gruppo di lavoro denominato proprio PaMoBa; vale a dire Parliamo della Morte ai Bambini, rendiamola dicibile: cruda ma non crudele. Purtroppo, ci sono tante situazioni reali nelle quali i bambini si trovano poi a dover fare i conti con la morte. Spesso è la perdita di un fedele amico a quattro-zampe a metterli a confronto con gli aggrovigliati sentimenti che ogni lutto impone: dalla rabbia, alla disperazione, alla colpa per non aver salvato l’amico, sino al sentirsi abbandonato o ingannato. Altre volte i bambini si trovano annichiliti, muti, di fronte alla scomparsa di uno dei nonni, o di un genitore, o di un compagno di giochi. Altre volte ancora il sentore della morte arriva da lutti antichi, irrisolti. Sono storie mai dette, intessute nelle vicende familiari, e che si riflettono, nell’attuale, con reticenze e maggiori ansie e timori sui ragazzini. Oppure sono pensieri che attorno alla morte e al morire ruotano, sollecitati da parole che, per i bambini, con difficoltà acquistano corpo: aborto, eutanasia, donazione d’organi, cremazione…
Un impatto, dunque, continuo se anche si pensa a cinema e Tv, documentari e fiction, immagini di catastrofi naturali o di scempi ambientali, di incidenti, attentati, guerre e omicidi che incoraggiano con l’irrispettosa spettacolarizzazione della morte una conseguente, progressiva, anestesia dalla sofferenza. Margit Franz, pedagogista svedese, ha calcolato che un giovane, quando raggiunge la maggiore età, ha già assistito mediamente a 18.000 decessi – reali o fittizi – nei diversi media!
La questione allora è ritrovare un dialogo con il bambino su cosa ci sia mai dopo il mondo. Un dialogo vivo, mai ipocrita, come propone nel suo bellissimo libro Daniel Oppenheim, Dialoghi con i bambini sulla morte (Erickson). Un dialogo aperto, responsabile, che, pur fra sbagli e inadeguatezze possibili, conosca la continua rimessa in gioco delle domande sulla vita e sulla sua fine. Perché, come ebbe a dire la Morte stessa nel suo straordinario dialogo con l’Anatra, cosa succeda a chi muore «non lo sa nessuno».