Alessandro Fiorini
Confesso che questo libro l’ho letto quasi senza fermarmi per paura di non riuscire ad arrivare in fondo. Dal punto di vista narrativo il fatto che non ci fosse una trama avrebbe favorito una lettura frammentata, ma l’argomento lasciava in bocca a ogni capitolo un gusto sempre più amaro e allo stesso tempo non potevo sottrarmi alla consapevolezza di “dover sapere”. “Dovere” perché nessuno spiega effettivamente cosa ci sia dietro quella “parola”.
Prima di leggere Ospedale silenzio io vedevo lì solo una porta chiusa. Un luogo che mi inquietava, ma che non contemplava in nessun modo la mia presenza e quindi che potevo fingere di conoscere. Ma la conoscenza è frequentazione, partecipazione e anche attenzione ai particolari. In questo libro ci sono molti particolari, dettagli più o meno inquietanti, ma tutti fondamentali per la percezione di un “umore”. Nessuna immagine lascia veramente un segno netto. Tutto è sussurrato. Sibilato. Come una lama di bisturi che scivola e apparentemente neanche ti tocca, ma improvvisamente ti ritrovi sporco di sangue e non ti rendi conto come questo sia stato possibile.
Ho avuto l’impressione di trovarmi nel posto sbagliato e di assistere per errore a qualcosa che non avrei dovuto vedere, ma poi il libro in qualche modo mi ha fatto sentire “invitato” e un po’ meno indiscreto.
Ha ragiona Marguerite Duras a dire che questo libro fa male agli uomini, perché non c’è niente di più doloroso che assistere a una tragedia della quale puoi essere solo uno spettatore: un’altra donna può avere compassione, ma un uomo no. Può solo interrogarsi sul ruolo che ha nella creazione della vita: un ruolo spesso misero, veloce e superficiale. Tutto ciò che avviene nel corpo della donna è un mistero che ci fa paura e che non capiamo.
Come quando si ricevono confidenze molto intime e non si ha il coraggio di dare un consiglio, si preferisce stare zitti, magari cercando un contatto fisico con la persona che hai davanti: così mi sono sentito alla fine di questo dolente libro. Penso che mi abbia fatto bene, ma non so a quanti uomini che conosco lo potrei consigliare. Per la verità, non l’ho ancora passato a mia moglie; sto aspettando un momento “giusto”. (18 febbraio 2009)
Francesca Testi
Ospedale silenzio appartiene a quella letteratura che da tempo svolge la funzione che dovrebbe essere prerogativa del giornalismo: racconta storie come fossero cronaca, ma lo fa senza dare volti e nomi, soltanto vite. L’autrice rivela emozioni e vicende che non passano attraverso il mito della maternità, né quello sentimentale dell’amore. Eppure parla del mondo femminile. Parla alle donne. Non occorre aver vissuto realmente queste esperienze per riconoscervisi.
La letteratura evoca per visioni, immagini. Nicole Malinconi, invece, risveglia l’olfatto. Per tutto il libro si avverte nitidamente l’odore di sangue, disinfettante, sapone.
Le sue protagoniste entrano nella narrazione prepotentemente come delle sconfitte; poi, diventano eroine, per la forza delle loro scelte. La loro tragedia personale non urla: è silenziosa, seppure crudele e violenta. (26 dicembre 2010)